L'eccessiva esposizione marittima (e la conseguente vulnerabilità) di Capo Granitola trova conferma non solo nell'edificazione delle due torri anti-saracene
ma anche nel più recente sistema di postazioni fisse che furono presidiate dalla 202ma Divisione Costiera dell'Italia fascista per respingere in mare un eventuale
sbarco degli Alleati.
Bunker della seconda guerra mondiale presso Capo Granitola.
Una decina di bunker, scorticati dal tempo (e per fortuna non dalle bombe), mestamente ricorda il passaggio della seconda guerra mondiale da queste parti; la stessa
Torre Saurello subì un'ulteriore fortificazione a mezzo di strutture in cemento armato: il restauro conservativo effettuato in anni recenti ha coperto i segni di
quell'intervento.
Poi, in realtà, lo sbarco delle forze britanniche, americane e canadesi (la celebre "Operazione Husky" diretta dai generali Montgomery e Patton) avvenne più a est (tra Licata e
Siracusa ), il 9-10 luglio 1943, per cui la zona di Capo Granitola fu interessata solo da un'intensa "frequentazione" aeronavale. L'unico eclatante episodio di guerra "di terra" che si ricorda
ebbe come teatro il baglio Campana in località San Nicola (qualche chilometro a nord di Torretta); i tedeschi lo avevano requisito ed adibito a polveriera: una volta in ritirata, in
ossequio al copione tattico della "terra bruciata", lo fecero brillare. L'esplosione fu così potente da far tremare le case del borgo di Torretta.
"Timpuneddu" presso la spiaggia del faro di Capo Granitola.
Quanto alla guerra aerea, qualche anziano ancora ricorda la picchiata di uno spitfire della Royal Air Force sulla batteria contraerea da 88 millimetri posta a presidio del
faro: tre soldati tedeschi restarono uccisi, mentre i tre italiani presenti nel distaccamento miracolosamente scamparono all'incursione. Pare fossero settentrionali ed un dato
assai curioso lo proverebbe: la presenza - botanicamente assai insolita - intorno al bunker della spiaggia del faro di un gruppo di pioppi bianchi, tipici di zone interne e
montagnose; aggrappati alla sabbia finissima e a parziale riparo dalla salsedine dietro le dolci rotondità della casamatta ("tiumpuneddu"), essi sono ancora lì e
quando soffia lo scirocco pare che il loro fruscio bisbigli la eco delle voci di chi in quel posto attendeva la fine della guerra tra struggenti ricordi legati al tempo di
pace... magari di un incontro amoroso tra i pioppeti padano-veneti.
Il campo di aviazione di Castelvetrano durante l'ultima guerra mondiale.
Se la dovette cavare anche l'equipaggio del trimotore bombardiere-aerosilurante Savoia-Marchetti 84 della Regia Aeronautica, il quale, in dirittura di arrivo verso il campo
di aviazione di Castelvetrano, esaurì il carburante e ammarò, forse per guasto meccanico, a 5,6 miglia e 153 gradi est dal porticciolo di Torretta. Il relitto giace a
33 metri di profondità, ad un miglio e mezzo dalla linea di costa. E' stato scoperto diversi anni fa da un appassionato sommozzatore dei Vigili del fuoco che villeggia
a Torretta; il sito gli era stato indicato dai pescatori locali che lo avevano annotato sulle loro carte nautiche come escrescenza rocciosa dalla quale tenersi alla larga per
la pesca a strascico. Ma evidentemente non si trattava di rocce. Inizialmente il relitto era quasi integro (a conferma dell'ipotesi dell'ammaraggio di fortuna) ma col tempo
qualche strascicata deve averlo mutilato, strappandogli la parte caudale.
Particolare del trimotore Savoia-Marchetti ammarato a Capo Granitola.
I comandi del trimotore recuperati dalle profondità marine.
La caratteristica fusoliera a sezione rettangolare, i motori Alfa Romeo, le mitragliatrici Scotti, la gobba dorsale creata dalla torretta girevole a 360 gradi, il vano bombe,
un siluro, gli estintori di rame placcati in bianco, una bombola di ossigeno, un armadietto ancora chiuso, la stazione radio: tutto è ancora ben visibile sullo strano
"podio" di conci di tufo su cui l'aereo ha concluso il suo volo. Per un'irreplicabile coincidenza la carcassa del velivolo è, infatti, adagiata sul sito di cala dell'antica
tonnara di Tre Fontane. Il sistema di fissaggio delle pareti retie al fondale marino (il c.d. "chiummu") era tradizionalmente realizzato con grappoli di pietre ("mazzari")
ovvero conci di tufo ("rusasi") estratti da tagliatori in piccole cave di arenaria (pirreredde) site in prossimità dell'impianto di terra; mazzari e rusasi, una volta
conclusa la stagione di pesca, erano abbandonate nei fondali, sia perchè, avendo assorbito acqua, il loro peso si era notevolmente accresciuto, sia perchè l'ampia
disponibilità di altra pietra non ne rendeva necessario il parsimonioso riutilizzo. Ma le coincidenze non finiscono qui: da uno scambio di mail su altro soggetto con il
professor Gianfranco Purpura, è casualmente emerso un particolare a dir poco sorprendente. Per anni il docente, nostro prezioso collaboratore, ha aiutato un anziano
condomino, il professor Licari, a compilare il modello 740; un giorno, raccontando di aver riscontrato parti di un aereo caduto proprio nella zona di Granitola, Purpura
è rimasto stupito nell'apprendere che proprio quel vecchietto era stato il pilota dello sfortunato trimotore della regia aeronautica di ritorno dal Nord Africa, dove
aveva imbarcato gerarchi fascisti. L'esibizione del libretto di volo confermava inconfutabilmente il sito dell'ammaraggio.
Il Savoia-Marchetti non fu l'unico aereo a precipitare in zona; gli anziani ne ricordano almeno altri due: un cargo ammarato nelle acque prospicienti Quarara, tra Torretta e Mazara, ed un non
meglio precisato velivolo piaggiatosi nella zona di Kartibubbo e distrutto dalle onde in due, tre anni. Del cargo si sa che trasportava, tra le altre cose, biciclette: lo hanno scoperto ancora
una volta i pescatori che con meraviglia ne hanno "catturata" qualcuna nelle loro reti da strascico.
La guerra frequentò anche il mare di Capo Granitola, il quale fu minato per ostruire il transito della flotta Alleata. Vittima ne fu l'HMS Tetrarch, sommergibile britannico della Classe
T, varato nel 1939 e operante in Mediterraneo nella base di Malta. Il Tetrarch era salpato il 26 ottobre 1941 da La Valletta per far ritorno in Gran Bretagna via Gibilterra: affondò il
giorno dopo in seguito alla collisione con una mina galleggiante al largo di Capo Granitola. E' probabile che il suo relitto giaccia a 52 metri di profondità nel c.d. "mari di mezzu", a
3,5 miglia e 173 gradi est dal porticciolo di Torretta. In quella zona di mare esiste un punto, che i pescatori chiamano "ai carrelli" (termine che si riferirebbe alla ipotetica presenza di chiatte
affondate) in cui l'ecoscandaglio rileva una strana discontinuità: non si tratta di una roccia ma forse della carcassa della nave abissale, oramai diventata una grande nassa d'acciaio per
le aragoste.
Il sommergibile HMS Tetrarch affondato al largo di Capo Granitola (Foto: Royal Navy History).
Nel 1945, quando la guerra volgeva oramai al termine, una bettolina (rimorchio da carico) lunga almeno 30 metri, che per conto del genio militare alleato trasportava
travi in legno di tutte le dimensioni e casse di chiodi, forse relative ad un ponte prefabbricato, si arenò proprio sulla spiaggetta adiacente il porticciolo di
Torretta: lo "scalone" (si veda foto in basso) da dove oggi i bambini fanno i tuffi rimane a perenne ricordo di quell'arenamento... Per due mesi i torrettesi furono
assoldati per trasbordare, per conto del Console americano stabilito a Castelvetrano, il legname e depositarlo nel terreno del signor Marconi, dove sarebbe stato sorvegliato
da soldati delle truppe alleate. La bettolina rimase arenata per almeno due anni durante i quali degli enormi topi bianchi (forse africani) dal muso allungato si potevano
vedere scendere e salire dalle cime di ormeggio. Fu rimessa in mare solo dopo che l'acqua delle stive fu aspirata così che potenti rimorchiatori potessero trainarla
via da quell'infausto approdo.
Lo "scalone" rimasto a perenne memoria dell'arenamento della bettolina presso la spiaggetta del borgo.